
C’è una domanda che mi accompagna ogni volta che preparo la valigia: riuscirò a entrare davvero in contatto con il posto che sto per visitare?
Non parlo solo di monumenti, scorci da cartolina o ristoranti consigliati dalle guide. Parlo dell’essenza. Di quella sensazione che ti fa dire: sì, sto vivendo questo luogo per quello che è davvero, non per quello che è stato confezionato per me.
Negli ultimi anni ho avuto la fortuna di viaggiare abbastanza da rendermi conto che molti luoghi famosi finiscono per piegarsi sotto il peso del turismo di massa. Strade trasformate in vetrine, usanze adattate a ciò che “funziona meglio per i visitatori”, locali che propongono “esperienze tipiche” che però di tipico hanno solo il nome.
E così mi sono trovata, in alcune occasioni, a sentirmi più spettatrice che viaggiatrice. Come se stessi vivendo un’illusione ben costruita, invece che la realtà pulsante di quel luogo.
Mi sono chiesta spesso: come posso mantenere un legame autentico con ciò che visito?
La risposta, col tempo, l’ho trovata in piccoli gesti.

Camminare senza fretta, senza un programma serrato. Parlare con le persone del posto, anche solo per un saluto, un sorriso, o per chiedere consiglio su dove mangiare qualcosa di “veramente locale”.
Scegliere di fermarmi nei quartieri meno battuti, magari a sorseggiare un caffè lontano dai selfie e dalle code. Lasciarmi sorprendere da una bottega artigiana, da una piazzetta nascosta, da un tramonto in silenzio.
Perché spesso l’autenticità non si trova dove tutti guardano, ma nei dettagli che pochi notano.
Non è sempre facile. A volte anche io mi faccio tentare da ciò che “bisogna vedere”, da ciò che “non puoi perderti”. Ma cerco sempre di bilanciare, di riportare il viaggio su una frequenza più personale, più vera.
Forse è questa la vera sfida del viaggiatore contemporaneo: non farsi ingannare dall’apparenza, ma coltivare uno sguardo più profondo, più umano.
Un modo di viaggiare che non consuma i luoghi, ma li ascolta. Che non si accontenta della superficie, ma cerca connessione.
Alla fine, credo che l’autenticità sia un patto silenzioso tra chi arriva e chi abita: richiede rispetto, attenzione e presenza.
Ed è proprio in quell’incontro che il viaggio diventa memorabile. Non per le foto, ma per le emozioni che ti porti a casa.

Martina